ARISTEA
EURIDICE STREAM
AUTORE IBRIDO: GIORGIO VIALI
La luce fioca del camerino, con il suo bagliore rosato, illuminava il viso di Sabrina. Era un'atmosfera intima, quasi sacrale, un santuario dove la performer si preparava a entrare in scena. Ma la sua scena, questa volta, non era un palcoscenico illuminato da riflettori, non era un teatro gremito di pubblico in delirio. Il suo palco era la telecamera, il suo pubblico il mondo online, un universo di sconosciuti che si lasciavano catturare dai suoi movimenti, dalle sue parole, dalle sue emozioni.
Il camerino, con la sua semplicità, con i suoi pochi mobili e la sua aria quasi di disordine ordinato, era il luogo dove Sabrina costruiva il suo personaggio. Un personaggio che, paradossalmente, era un’esplorazione del suo sé più profondo, un viaggio di scoperta che si svolgeva sotto gli occhi di chiunque fosse disposto a guardarlo.
Le dita di Sabrina, con i loro movimenti delicati e sensuali, sfioravano la seta rosa del body, come se fossero le stesse dita di un artista che toccano con cura la tela. La sua voce, morbida e rassicurante, accompagnava ogni gesto, ogni posa, come un’orchestra che compone la melodia del suo essere.
“Questo body, ragazze, è semplicemente divino! Mi valorizza il décolleté in un modo incredibile,” sussurrava Sabrina allo schermo. “È il capo perfetto per una serata speciale, un look sensuale ma elegante al tempo stesso. Pensate a un cocktail party, o a un appuntamento romantico...”
Ogni capo che indossava, ogni commento che pronunciava, ogni sbirciata allo specchio, era un tassello del mosaico che componeva la sua identità online. Un’identità che si nutriva di fragilità e di desideri, di sogni e di paure, di fragili certezze e di sfumature di autenticità.
Sabrina era consapevole che la sua performance, in un certo senso, era la rappresentazione di un’epoca. Un’epoca in cui le identità erano fluide, mutevoli, costruite a pezzi, come un puzzle di selfie e di post su Instagram. Un’epoca in cui il confine tra realtà e finzione si faceva sempre più labile, in cui la rappresentazione diventava la nuova realtà.
“Amo il modo in cui questo babydoll mi avvolge, come una nuvola,” sussurrava Sabrina, sfiorando con le dita il morbido tessuto. “È delicato, sensuale, un capo perfetto per una serata in casa, per coccolarsi e per sentirsi belle.”
Ogni parola che pronunciava era un’eco di quella cultura digitale che la circondava, fatta di influencer e di guru del benessere, di guru della moda e di esperti di vita. Un flusso continuo di informazioni e di messaggi che, in qualche modo, plasmano l’identità di chi li assorbe.
“Il rosa, ragazze, è un colore che mi fa sentire potente, femminile, libera,” concludeva Sabrina, ammirando il suo riflesso nello specchio. “È il colore della femminilità, dell’amore, della dolcezza. Ma è anche un colore che si può indossare con orgoglio, con sicurezza, con un pizzico di trasgressione.”
Mentre si vestiva, scegliendo un completo grigio dal taglio impeccabile, Sabrina pensava alla complessità del suo ruolo di performer online. Un ruolo che le permetteva di essere chi voleva essere, di esplorare la sua femminilità in tutte le sue sfumature, di dare voce alle sue emozioni, di connettersi con un pubblico eterogeneo. Ma era anche un ruolo che la costringeva a mostrarsi, a mettersi a nudo, a essere sempre sotto gli occhi di tutti, in una continua performance di sé.
Le sue sneakers cool, un dettaglio inaspettato che spezzava l’eleganza del suo completo grigio, erano un simbolo di quella voglia di libertà, di trasgressione, di mescolare stili e di creare un’identità personale, unica e originale. Un’identità che, in qualche modo, si ispirava alla filosofia del “less is more”, un approccio minimalista che celebra la semplicità e l’autenticità.
Sabrina, in quel camerino illuminato da una luce rosata, era un’artista che stava creando un capolavoro. Un capolavoro fatto di emozioni, di desideri, di fragilità, di autenticità. Un capolavoro che si lasciava osservare, commentare, giudicare. Un capolavoro che, forse, stava aprendo un nuovo capitolo della narrazione del sé nell’era digitale.
“Non so voi ragazze, ma io sono pronta a dare inizio al mio show. Vi aspetto online,” sussurrava Sabrina allo specchio, con un sorriso smagliante. E mentre il suo sguardo si perdeva nella luce rosata del camerino, la sua voce si confondeva con il rumore del mondo, con la cacofonia di voci che risuonavano nella rete. Un mondo in cui la performance diventava la nuova normalità, in cui l’identità era un’opera in continua evoluzione, un flusso continuo di pensieri, emozioni, parole, immagini, un flusso che, come il fiume, non si ferma mai.
Mentre Sabrina si avviava verso il suo palcoscenico digitale, la sua silhouette si staglia contro la luce fioca del camerino, come una ballerina che si prepara a compiere il suo balletto. Un balletto che, forse, stava svelando le nuove regole del gioco, le nuove forme di bellezza, le nuove sfumature dell’autenticità. Un balletto che, in qualche modo, stava scrivendo un nuovo capitolo della storia del mondo.
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AUTORE IBRIDO: GIORGIO VIALI